La potatura dei tempi passati

Lezioni di Potatura.

Non tutti i bocia della Corte Grande sopportavano l’idea di dover imparare i lavori agresti ed i segreti della natura. Troppa fatica e la città vicina attirava per la scuola e per altri lavori. Per la verità la campagna bisognava averla nel cuore e nell’anima. Piovesse o ci fosse il sole c’era nell’aria e nel tempo l’essenza della vita; il vento di marzo legava, con “le volande”, i ragazzini all’infinito. Gli adulti sapevano scegliere ed indicavano ai bimbi più predisposti alla Potatura quali fossero i tralci da recidere. Ogni giorno la vigna aspettava paziente i suoi figli operosi e materna li abbracciava. Nella stalla i buoi ruminavano mansueti e gli uomini preparavano le “strope” (vimini gialli) e le “teje” (legacci resistenti più delle strope) con “el tejarolo”. Atmosfere sofferte, prima che il freddo vietasse la Potatura, si dava inizio ai lavori e la vigna ringiovaniva ed era uno spettacolo vederla così curata. I bocia venivano iniziati alla Potatura e per questo si sentivano grandi ed avevano ragione. A febbraio, se era necessario, si completavano i lavori e l’Eden rinasceva nel tepore dei falò dei tralci recisi (vezeje) che scaldavano membra e cuore e la primavera non era lontana.

Le intemperie, il vino nuovo.

Potare era un’arte antica come il mondo. Riguardo alla vigna, tolti i tralci superflui (le tròzole), si archettavano all’ingiù quelli scelti per la nuova produzione fissandoli al ramo di testa con duttili “strope”, con le “teje” le viti venivano fissate al palo di supporto ed in molti casi ad un albero che faceva le stesse funzioni. Con le teje si facevano anche i “corghi” (piccoli recinti mobili) per i pulcini e si legavano le fascine di vezeje che servivano a riscaldare il forno del pane. Poi le viti fogliavano e mettevano piccoli grappoli che fiorivano prima di svilupparsi verso la maturazione ancora lontana. E c’era da sudare alla carriola con la pompa del verderame. Nel silenzio della vigna la gente ci si ascoltava e si pensava a quando il vino novello avrebbe zampillato dal tino alla tinella nel desiderato travaso.
Se tempestava i grandi si mordevano la lingua mentre i nonni bruciavano l’ulivo benedetto invocando il Signore. Se andava male si imparava a pazientare nella consapevolezza che il vino ed il pane erano alimenti reali ed essenziali alla vita.
Vino compagno fedele della storia di questo Paese.

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